Approvato con il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 e pubblicato sulla Gazzetta n. 161 del 13 luglio, il c.d. “Decreto dignità” fin dal suo apparire non ha fatto altro che essere al centro di polemiche e discussioni politiche. Ma di che cosa tratta realmente il provvedimento, e quali i punti più importanti di esso?
Il Decreto opera principalmente nel settore del mondo del lavoro, cercando in qualche modo, e senza tuttavia chiarirne completamente le modalità, di porre una stretta al problema della precarietà. In tal senso la durata massima dei contratti a termine scende a 24 mesi dai 36 previsti dal Jobs Act, mentre l’indennità massima prevista per il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo passa da 24 a 36 mensilità, mentre la minima da 4 a 6 mensilità. Il Decreto de qua prevede altresì, al fine di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, l’aumento dello 0,5% del contributo addizionale – attualmente pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali – a carico del datore di lavoro, per i rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato, in caso di rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
Si cerca anche di porre una stretta al fenomeno della delocalizzazione aziendale, riguardo in particolare le aziende che hanno ricevuto finanziamenti dallo Stato per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche in Italia e che poi si trasferiscono all’estero: per esse previste multe da 2 a 4 volte il beneficio ricevuto.
Il Decreto dignità cerca poi di porre un freno al problema del c.d. “ludopatia” ovvero la febbre del gioco d’azzardo, vietando la pubblicità di giochi o scommesse con vincite in denaro.
Viene poi, tra le altre novità, abolito il c.d. “Redditometro” per i controlli ancora da effettuare sull’anno di imposta 2016 e successivi.
Va comunque precisato che il testo del Decreto dignità deve ancora passare dalle due Camere per la sua necessaria conversione in legge, per cui non è detta ancora l’ultima parola su di esso, né è certo che il testo non subisca nella sua versione finale delle modifiche.